Testo della lettera inviata il 4 agosto 2010 alla Senatrice Emma Bonino, presidente del comitato pari opportunità del Senato.
Riassunto: il daltonismo non viene considerato nel sistema legislativo italiano se non per vessare le persone in modo illogico. I daltonici sono 2 milioni solo in Italia. Oggi nuovi studi e leggi europee consentono ai daltonici l’accesso ai servizi mentre in Italia tali nuovi concetti stentano ad essere percepiti.
Gent.ma Presidente Bonino,
Da alcuni anni mi occupo dei problemi dei daltonici nel sociale e nel mondo lavorativo. Interessa più di 2 milioni di persone solo in Italia, il 10% dei maschi e l’1% delle femmine, più degli abitanti di molte regioni italiane.
Tra i vari punti, i daltonici, da molto tempo, sono bersaglio di una serie di vessazioni sul piano lavorativo. Si risolve l’incompleta visione dei colori con leggi che impediscono l’accesso ad alcuni mestieri: in tempi di recessione come questi, essere daltonico significa diminuire ulteriormente la probabilità di trovare un lavoro. L’ultima notizia, solo un esempio lampante che sarebbe comico se non riguardasse un ragazzo che non lavorerà, riguarda il mondo dei croupier: se sei daltonico, niente lavoro, una cosa veramente assurda: invece che adattare le chip ai daltonici si scartano i croupier, dimenticando però che anche i clienti potrebbero avere gli stessi problemi di gioco.
In realtà i daltonici non hanno problemi gravi con i colori. Il fatto di non saper dare il nome ad una tinta non impedisce loro di guidare o di distinguere i fili elettrici. Però questo non viene compreso da chi, normalmente tricromatico, opera sul sistema legislativo senza tenerne conto. La classe medica partecipa a questa assurdità un po’ perché obbligata dalle leggi, ma anche per la mancanza di aggiornamenti scientifici in materia. Oggi sul daltonismo si sa molto di più, ma esiste un muro di consuetudini che impedisce il rinnovamento. Nei corsi di aggiornamento l’argomento è completamente dimenticato.
Alla fine, ci si arrangia in qualche modo, o con un medico consenziente, o con le astuzie che un daltonico sa mettere in campo quando serve. Ma non è certamente questo il modo giusto di affrontare il problema.
Per diffondere queste nuove nozioni sul daltonismo, ho predisposto una mostra dal titolo “Come vedono i daltonici”. L’iniziativa ha avuto già un buon successo a Genova, con 15 esposizioni di cui alcune con il patrocinio del comune e una conferenza organizzata insieme alla Biblioteca Civica Berio a febbraio di quest’anno. Ritengo che sarebbe di indubbia utilità un appoggio del Senato, per portare la mostra a visibilità nazionale.
Nella mostra, due cartelloni sono dedicati alla patente di guida: senza patente oggi non si lavora. Può sembrare strano, ma in molti paesi europei il daltonismo non viene più considerato uno sbarramento all’idoneità alla guida, in forza del parere della Unione europea sull’argomento, del quale ho rintracciato i documenti. Nemmeno il nostro codice ne fa menzione, se non nel Regolamento di attuazione del codice della strada, in netto contrasto con la stessa legge dalla quale esso deriva, perciò tutti i medici continuano a fare i test e a negare patenti importanti: le “C”, ad esempio, o tutte le patenti per i pullman, eppure questo non è ammesso. Provi a chiedere a qualsiasi collega cosa ne pensa, le risponderà che un daltonico ha difficoltà con i semafori, ma non è proprio vero, è solo una consuetudine. Per questo atteggiamento sul daltonismo ho coniato il termine “arroganza tricromatica”, alludendo all’abitudine dei normovedenti a dare per scontato che un daltonico “non ce la farà”. La consuetudine sull’argomento si spinge fino a studiare semafori che sono definiti “adatti ai daltonici”, come stanno sperimentando a Torino: una cosa costosa ed inutile, un insulto all’intelligenza di ammettere che i daltonici sono alla guida da decenni e non passano certo col rosso.
Per creare informazione sull’argomento, in questa mostra si vedono i colori visti dai daltonici, i quadri, la “bandiera italiana daltonica”, oggetti tangibili anche per dare una connotazione “reale” ad un argomento che vive sotto i banchi per spuntare solo quando è il momento di danneggiare una persona invece che creargli, semmai, agevolazioni.
Sto quindi coordinando una decisa campagna di cambiamento del modo nel quale la legge italiana, soprattutto il codice del lavoro, tratta i daltonici. Rivediamo le regole determinando dove davvero i daltonici potrebbero avere problemi, cerchiamo delle soluzioni tecniche e, ove non ci sia soluzione, creiamo una categoria protetta sul piano lavorativo per aiutare i daltonici a lavorare dove gli sia consentito.
Accanto alla denuncia della vessazione per i casi indebiti, nasce anche la necessità di ripensare i codici colorati per tutti quegli ambiti nei quali in effetti un daltonismo potesse essere d’impedimento: ricordiamo che esiste questo numero, 10% dei maschi, a ricordare la dimensione del problema. Il “10% di tutto”.
Segnalo la prima apparizione televisiva nella trasmissione di Silvana Bonelli su Telenord il 14 maggio u.s.
Sul web sta avendo successo anche il mio articolo “Patente di guida e daltonismo: vent’anni di controlli inutili“.
Si tratta, come detto, di un problema che interessa 2 milioni di persone solo in Italia.
Distinti saluti
Stefano De Pietro