La patente di guida e il daltonismo: vent’anni di controlli inutili.

Controllo del daltonismo per la patente?

Quando si parla di daltonismo, ci si riferisce solo in Italia ad oltre due milioni di persone, principalmente maschi, circa uno su dodici – più degli abitanti dell’intera Liguria.
Secondo la consuetudine consolidata nella mente delle persone e dei medici, i daltonici potrebbero avere difficoltà a decifrare la segnaletica – soprattutto il semaforo – soltanto perché non sono in grado di dare il nome giusto ad un colore, verde o rosso che sia.
Per fortuna questa convinzione è del tutto priva di fondamento. Oltre ad essere, di solito, in grado di percepire la differenza dei colori sufficientemente per fermarsi al rosso e al giallo o passare al verde, un daltonico sfrutta altri sistemi per comprendere le segnalazioni: la posizione della luce, ma anche il fatto che la luce cambia di posizione (il caso dei daltonici rosso/verde, che percepiscono rosso e giallo come un unico colore giallo/rossastro o il verde come bianco). Nei semafori più evoluti, che vediamo purtroppo sparire a seguito delle politiche di risparmio dei comuni, il segnale rosso è anche più grande, quindi facilmente distinguibile dal giallo.

Si fanno tanti discorsi sul semaforo, ma la paletta del moviere, quella paletta rossa/verde che tengono in mano gli operai stradali, senza alcuna distinzione grafica se non il colore tra le due facce, potrebbe finire per essere governata da un daltonico! Un non-sense legislativo, che può essere risolto con una modifica alla paletta.

Quindi perché si continuano a fare i controlli del daltonismo e, in alcuni casi, a negare i requisiti per la patente? Proviamo a dare un’occhiata alle norme.

Il Codice della strada (Cds), che deriva da una norma europea, consiste nel Decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, aggiornato nella sua versione R.26 con la Legge 15 Giugno 2009, n. 94. Nell’art. 119 sono richiamate le caratteristiche fisiche, psicologiche e morali che devono essere verificate ai fini della idoneità alla guida. In particolare, l’articolo inizia citando nel comma 1:

1. Non può ottenere la patente di guida o l’autorizzazione ad esercitarsi alla guida di cui all’art. 122, comma 2, chi sia affetto da malattia fisica o psichica, deficienza organica o minorazione psichica, anatomica o funzionale tale da impedire di condurre con sicurezza veicoli a motore”.

Sfido qualsiasi persona che sia abituata a considerare il daltonismo come un impedimento alla comprensione del semaforo, a non considerarlo come “una minorazione funzionale tale da impedire…”, e sappiamo cosa dovrebbe impedire. Questa è la consuetudine. Però, se poi ci si addentra negli allegati che definiscono in modo tecnico i controlli da effettuare, di daltonismo in effetti non si parla affatto.

Quindi, riformuliamo la domanda: come mai il daltonismo non viene citato ma si continuano a fare i controlli, affidando per giunta il risultato ad un parere personale del medico e non ad un limite numerico basato su una misura vera e propria?
Continuando la ricerca, ci si imbatte in un documento chiarificatore: la risposta che, nel 2008, la Commissione delle petizioni dell’Unione europea ha dato ad un cittadino romeno, dal momento che in Romania la patente veniva negata tout court ai daltonici:

Le norme minime concernenti l’idoneità fisica e mentale per la guida di un veicolo a motore sono indicate nell’allegato III della direttiva 91/439/CEE concernente la patente di guida. Il punto 6 dell’allegato, relativo a vista e guida, non fa menzione del daltonismo come condizione di disabilità che impedisca di ottenere la patente di guida.
Lo stesso rimarrà valido quando le disposizioni della prossima direttiva sulle patenti di guida sarà applicabile a partire dal 2013. Su richiesta degli Stati membri, la Commissione nel 2004 ha avviato i lavori per aggiornare alcune disposizioni dell’allegato III della direttiva 91/439/CEE, comprese quelle relative alla vista. Alcune proposte sono state avanzate da un gruppo di lavoro costituito da oftalmologi provenienti da diversi Stati membri dell’UE, ma nessuna di questa concerne il daltonismo. Secondo l’opinione di questi medici, tale malattia non costituisce un problema specifico da prendere in considerazione durante la valutazione dell’idoneità alla guida. La relazione sul lavoro e sulle conclusioni di questo gruppo è stata pubblicata sul sito Web della direzione generale dell’Energia e dei trasporti
”.

Ecco la ragione per la quale nel Cds italiano non viene menzionato il daltonismo: ad esso non si fa cenno nell’allegato III della cosidetta «direttiva traffico» del 1991, dalla quale il Cds deriva. Stiamo parlando del 1991, ovvero vent’anni fa. E’ stato invece reinserito, senza alcun riferimento alla legge, nel Regolamento di attuazione del Cds.

Per la terza volta la domanda cambia, ma ripropone lo stesso problema: se sia la legge italiana che la direttiva europea non parlano di daltonismo, allora perché è stato inserito nel Regolamento di attuazione e si continuano a fare i controlli?

La risposta, finalmente trovata, è davvero semplice quanto demoralizzante: i controlli si fanno perché la visita non viene eseguita esattamente come è previsto dal Cds. Il fatto che una malattia sia stata tolta dalla lista è stato evidentemente considerato dal nostro Ministero della salute, dall’Ordine dei medici e dai medici stessi come se essa fosse ormai un’acquisizione stabile, un controllo sottinteso, un’evidenza naturale legata alla consuetudine secondo cui i daltonici non capiscono bene il semaforo. Invece, alla luce di quanto esprime chiaramente la UE, questa interpretazione è illegale. La risposta si conclude con le seguenti disposizioni:

Secondo la normativa comunitaria, il daltonismo non comporta alcuna limitazione all’idoneità alla guida. Inoltre, questa disabilità non viene menzionata nell’ultima relazione su vista e guida presentata da un gruppo di lavoro di oftalmologi europei convocato dalla Commissione”.

Secondo l’Unione europea, quindi, il daltonismo non deve essere più considerato un impedimento per l’idoneità fisica alla patente di guida di qualsiasi grado, fin dal lontano 1991.

E’ evidente lo stridore di tale notizia con la realtà italiana. Essa arriva dopo venti anni a sconvolgere l’abitudine di negare inizialmente o ritirare dopo anni la patente di guida ai daltonici, talvolta dopo visite sommarie che si fermano ai soli cerchi di Ishihara. Una situazione che ha causato gravi danni diretti e indiretti, che in qualche modo dovranno essere riconosciuti dallo Stato italiano, ad esempio a chi si fosse visto ritirare una patente C dopo anni di guida e di lavoro sulla strada: succede anche questo.
Si potrà obbiettare che nulla vieta di recepire una norma comunitaria nell’ordinamento nazionale in una forma più restrittiva (anche se il cittadino romeno si appella con ragione proprio a questo), avvalorando in un certo senso la pratica di continuare i test e le sospensioni delle patenti.
In questo caso si ricadrebbe però in tutt’altra normativa comunitaria e nazionale, quella sulle pari opportunità: ufficializzare, con la legalizzazione del test, la difficoltà del daltonico a guidare, per lo Stato significa di fatto obbligarsi a trovare una soluzione tecnica per ovviare al problema: cambiare i semafori e tutte le segnalazioni per le quali non possa essere esclusa un’errata interpretazione da parte dei daltonici. Continuare a negare la patente ai daltonici sarà sicuramente l’unica strada non più percorribile, anche per il complesso significato sociale che tale scelta comporta e la presa di coscienza che inizia a diffondersi tra i daltonici.

Oltre la patente: una strage silenziosa di opportunità

Ci sono molti mestieri che i daltonici si vedono negare: per cominciare, tutti quelli nei quali occorrono una patente di guida di classe superiore o il porto d’armi; inoltre, elettricista, pilota di aeromobili, macchinista ferroviario, medico chirurgo. L’elenco non è esaustivo.

Il problema è anche mal gestito: le scuole tecniche che eseguono corsi di elettricista raramente effettuano test preventivi agli alunni, che rischiano quindi di studiare per vedersi negare l’abilitazione professionale alla fine del ciclo di studio.

Conclusioni

Fino a pochi anni fa considerare il daltonismo come una grave menomazione sensoriale era l’unica ipotesi plausibile per chi, non daltonico, poteva solo immaginare un mondo nel quale il colore fosse una dimensione affatto fruibile. Oggi, con l’avvento della computergrafica e gli studi sulla visione di Hubel (premio Nobel 1981) e altri studi recentissimi americani, la capacità di vedere come i daltonici è diventata uno strumento utile e a mio avviso di uso obbligatorio, per ripensare un mondo nel quale le regole dovranno essere necessariamente rivalutate, abbattendo finalmente il muro di isolamento nel quale i daltonici sono stati rinchiusi per più di un secolo.

Restano quindi aperti molti interrogativi sui quali occorrerà lavorare, sia per valutare se anche in altri ambiti l’Unione europea non abbia già legiferato a vantaggio dei daltonici, sia per aggiungere i nuovi concetti della visione daltonica alle procedure per la definizione delle norme che prendano in considerazione i colori come fattore discriminante per l’informazione.
In fondo, già lo disse Virgilio: nimium ne crede colori, non credere troppo ai colori.

Stefano De Pietro
Copyright (C) 2010-2019 – Stefano De Pietro – Riproduzione riservata.
(la fonte citata è reperibile presso la Commissione delle Petizioni della Unione Europea
)

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